Essere il sindaco della propria città…

Essere il sindaco della propria città credo sia una delle esperienze più belle!

Ma “come deve essere un sindaco al tempo della crisi sociale e ambientale: un bravo ragioniere che amministra i pochi soldi che ha, secondo le disposizioni di legge, o un animatore creativo per far nascere una nuova idea di cittadinanza? Come può garantirci un futuro: presiedendo un’amministrazione impeccabile ispirata al pareggio di bilancio, o tessendo un paziente lavoro per formare nuovi cittadini che abbiano il gusto della partecipazione, che ricerchino il bene comune, che abbiano uno spiccato senso di comunità, che si sentano ognuno responsabile di tutto?” (Questo è un brano della presentazione del libro “Un sindaco fuori dal comune”, che Marco mi ha regalato appena dopo le elezioni del 2015. Parla della storia di Antanas Mockus, sindaco di Bogotá dal 1995, davvero “fuori dal comune”!)

Me lo chiedo ogni giorno! E la risposta è che non è facile, anche se – ripeto – è decisamente l’esperienza più bella che abbia mai fatto (ovviamente escludendo quella personalissima della famiglia)! Di fronte alle difficoltà si trova la strada per andare avanti e questa è la quotidiana sfida del cambiamento!

È difficile amministrare, nell’anno 2018. Quando molto si traduce in una aspettativa di risposta immediata e a volte si fa fatica a far passare il messaggio o a mostrare i risultati del proprio impegno. Ma un pezzo alla volta, queste risposte arrivano.

È difficile amministrare, quando è complicato far comprendere quale è il punto di vista che guida una azione, una risposta, una indicazione: lo dicevamo chiaramente nella campagna elettorale del 2015 che il nome del gruppo politico del quale faccio parte non è uno slogan, ma una chiara e netta scelta. Lo dicevamo che il “bene comune” non è la somma del bene di ciascuno, ma qualcosa che è al di sopra di tutti, qualcosa che, quando si realizza, può scontentare qualcuno. E’ un qualcosa che, a volte, può dare persino fastidio se si legge addirittura come pensato e fatto in danno di qualcuno. Dietro alcuni “no” spesso c’è questo: non è sempre facile spiegarlo, ma è giusto farlo, sempre!

E’ difficile amministrare quando sei nella impossibilità di dare una risposta completa a un problema e sei costretto a fare un pezzo di strada alla volta perché non ci sono risorse, perché le procedure sono sempre più complicate, perché a volte la soluzione è nelle mani di chi trova più semplice dire di no anziché rompersi la testa per trovare la strada possibile. Il gioco si è fatto complicato: a differenza del passato (quando il bilancio di reggeva su residui e avanzi), è impossibile spendere più di quello che entra e, quindi, a volte alcune cose semplicemente non si possono fare. E qui diventa difficile scegliere. Ognuno ha la sua proposta e la ritiene giusta, ma chi si trova a gestire le cose dal nostro punto di vista, avendo una visuale più ampia, è chiamato alla scelta. Ogni scelta – lo dicevo prima – inevitabilmente scontenta qualcuno. Chi dà una indicazione non può limitarsi a dire: “Bisogna fare questo!”. Dovrebbe dire come si fa e soprattutto come si paga. Ogni proposta va verificata, altrimenti è difficile persino considerarla. E, d’altra parte, non è neanche giusto far finta di niente di fronte al lavoro che si è fatto: è vero che l’asfalto non basta mai e che le lampadine non sono mai sufficienti, ma ci sono (chiediamo a chi aspettava da anni!). Eppure se usciamo dalla logica dell’immediato e si dimostra dove sta il problema, allora si riesce a trasmettere il messaggio.

E’ difficile amministrare ai tempi dei social, quando sei messo “alla gogna” con parole in libertà (alcune volte così eccessive che mi preoccupo più del solito di nascondere il mio telefono dalle grinfie di una figlia già troppo avanti, come i suoi coetanei, nell’uso di queste diavolerie); quando ti scaricano addosso responsabilità che non hai; quando si immagina che ogni risposta debba arrivare con la stessa velocità dell’invio di un messaggio; quando pubblicamente ti “massacrano” e in privato ti chiedono scusa; quando chi ti apprezza diventa il nemico giurato del tuo avversario solo perché ha pensato di dirti che almeno qualcosa va bene; quando ti prendono per un megalomane (se va bene) solo perché racconti quello che fai.

È difficile amministrare quando si pensa che la delega sia totale e che il cittadino non abbia anche il dovere della corresponsabilità. Stiamo facendo uno sforzo importante perché non sia così, lavorando soprattutto con e per la scuola. Lì ci sono i dirigenti (pubblici e dell’impresa, ad esempio) di domani. Quale bussola vogliamo consegnargli? Lì ci sono gli insegnanti, protagonisti silenziosi del futuro. Con loro vogliamo proseguire questo cammino!

E’ difficile amministrare all’epoca dei populismi. Che grosso problema! Il populista dice quello che l’interlocutore vuole sentire, non fa sforzi; spesso non sa perché non vuole provare o perché non ha mai provato; parla per sentito dire (quanti telefoni senza fili mettono in crisi, deviano, affermano e smentiscono) e non fa lo sforzo di andare alla fonte; sfoga una legittima rabbia, ma chiede di fare cose che sa essere impossibili; ragiona portando a ritenere che sia vittima di una ingiustizia anche quando sa di avere sbagliato; assume di essere illibato in una giungla di politici (tutti) ladri e corrotti. Questo mi fa rabbia: io, che parcheggio la mia auto nel cortile del municipio solo quando sono in centro a motivo della mia carica e che non ho mai fatto uso di un mezzo del comune (neanche il telefono o l’auto di servizio, pur avendone diritto né ho mai fatto una fotocopia o una stampa per motivi personali) poi mi viene tolto il saluto da chi ha avuto una multa semplicemente perché se la meritava! Io, politico (anche se non di professione) sarei un ladro? Eh no! Ma nel dialogo quotidiano, faccia a faccia, si riesce a comprendersi!

È difficile amministrare quando violenza e razzismi diventano pane quotidiano e si trova addirittura un “ma” o un “sì, però” di fronte a fatti di ormai ordinaria follia e, nel momento in cui scegli l’integrazione, sei sommerso da una rumorosa minoranza, germe di quelle pericolose nostalgie di cui parlavamo a fine anno. Ricordate la famosa “giornata della cittadinanza”? Qualcuno ha letto i commenti alla notizia data da un quotidiano on-line? Ma abbiamo colto questa sfida e credo che la stiamo vincendo.

È difficile amministrare anche quando il risultato che ottieni non è – per alcuni – mai merito tuo! Ma quando le realizzazioni (e sono tali anche i progetti) si vedranno, anche questo vento sarà passato.

Dicevo ieri a qualcuno che non avevamo chiara tutta la situazione. Non è un fatto che deve meravigliare se ancora oggi siamo alla ricerca di risposte e spiegazioni che non arrivano. Ma dobbiamo arrivare in porto e lo stiamo facendo con il massimo dello sforzo possibile. Spesso, in maniera che ha poco di affettuoso, ci si dice: “Sono ragazzi”, come a dire che c’è poca esperienza, o “Sono figli di papà”, come a dire che abbiamo trovato tutto apparecchiato nella vita e non ci siamo guadagnati nulla. Qualcuno dice anche che (parlo per me) sono cambiato, sono più severo, non sono più quello di prima. Sono affermazioni ingenerose. Non sono cambiato perché si resta sempre uguali quando la direzione è sempre la stessa; forse si scambia per rabbia la passione e, non di rado, lo “stupore” di fronte alle tante sorprese che non sono infrequenti e che ti sembrano evidenti solo quando occupi una certa posizione: insomma vedi cose che prima neanche intuivi. Certamente puoi sbagliare come capita solo a chi fa. Credo, comunque, che queste opinioni si limitino al giudizio superficiale e vorrei vedere, con chi le esprime, se resistono alla prova di una sola giornata insieme a me, alla mia giunta e al mio eccezionale gruppo.

Con questa squadra abbiamo fatto un lavoro enorme! Abbiamo messo in campo le premesse di azioni che prima, per certi versi, non erano neanche nell’ordine delle possibilità. E anche in questo modo, Guardiagrele, a mio avviso, cambia!

Simone Dal Pozzo – Sindaco di Guardiagrele

 

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